Tutti molto s(u)o(r)cial3 min

di L'Obbiettivo

Avete mai visto qualche film storico ambientato in un convento? Ad esempio la miniserie fantasy “Le nebbie di Avalon”, tratta dai libri di Marion Zimmer Bradley, nella quale Morgana, alla fine, si ritira in un monastero? L’atmosfera sacra, le candele, i canti liturgici, i sussurri, le voci sommesse… è proprio un universo a parte, quello della clausura, che però, giustamente e come tutto ciò che ci circonda, si è evoluto con il passare degli anni. Al giorno d’oggi, con il mondo in tasca a portata di polpastrello, nessuno sa cosa vuol dire davvero vivere da eremiti, senza il minimo contatto con i mezzi d’informazione, come fanno, ad esempio, le suore di clausura. Ebbene, amici miei, suorpresa: non lo sanno nemmeno loro.

Se vi dicessi che effettivamente anche le monache utilizzano i social media e Internet?

Magari l’immagine del buongiorno che avete ricevuto stamattina è partita proprio da tale Suor Genoveffa che, dopo le orazioni mattutine, ha scritto a sua cugina per augurarle una serena giornata.

Ma cosa faranno mai le suore sui social? Hanno degli standard per i selfie, un’angolazione particolare, sono colpite anche loro dalla “luce divina” quando scattano le foto davanti alle finestre di primavera? Eh, evidentemente sì, in tutti i sensi.

E cosa condividono sui loro profili? Se Suor Genoveffa condividesse un’immagine in discoteca con un Martini in mano, sarebbe certamente un problema per tutto il convento.

Onde evitare queste problematiche, monsignor José Rodriguez Carballo ha presentato un documento per riportare alla disciplina le quasi 38.000 suore di clausura sparse per il mondo. San Pietro chiede alle sorelle “sobrietà e discrezione”. Attraverso il “Cor Orans”, che detta le norme per la vita di clausura, istruzione applicativa della Costituzione apostolica “Vultum de Quarere”, reso pubblico la mattina del 15 maggio, i vertici della Chiesa tentano di “salvare il raccoglimento e il silenzio”.  Sarà il Capitolo vaticano a “stabilire la modalità di uso di questi mezzi, chiedendo dunque alle monache maturità di giudizio e capacità di discernimento, e soprattutto amore alla propria vocazione contemplativa”. Insomma: navigate pure un po’, ma siate moderate, non dimenticatevi che siete monache, e non di Monza, monache serie, che non devono dimenticare la loro vocazione.

Ma se anche le suore di clausura, che hanno una giornata fitta d’impegni, orazioni, lavoretti da sbrigare per la manutenzione dell’edificio, l’orticello da innaffiare, insomma, una giornata piena della loro tranquilla vita dedicata a Dio, hanno il tempo di vedere da quale camino s’alza il fumo sul web, fino a dove siamo arrivati? Usiamo gli smartphone in maniera spropositata, ormai sono un’appendice del nostro corpo. Una volta avevamo la coda, ora abbiamo l’IPhone.

Pensate che siamo così tanto appiccicati ai nostri telefoni che sono i telefoni stessi a ricordarci di lasciarli in pace. Abbiamo talmente scocciato Cortana e gli altri assistenti vocali che siamo stati denunciati alle Risorse Umane per stalking dalle suddette signorine, e ora la nuova versione del sistema Android (AndroidP) ti avvisa quando stai snervando troppo il tuo dispositivo elettronico. Sarà disponibile la modalità “in dissolvimento” (traducendo letteralmente dalla descrizione della prima versione ufficiale), che fa colora le schermate delle app in scala di grigi per ricordarti che è ora di andare a dormire. Come quando negli anni ‘60 finito il Carosello il televisore si spegneva e i bambini andavano a nanna, oggi lo smartphone è diventato più “smart” di noi e ci dice quando stiamo esagerando. La nonna che si preoccupa perché non mangi più si è trasferita dietro il nostro display. Ma davvero siamo arrivati al punto di non riuscire più a trattenerci nel controllare quella notifica, aprire quella finestra, cercare quella persona su Instagram, fino a passare ore e ore davanti allo scorrere tranquillo di una bacheca o di un pagina web? Non ci ferma neanche la clausura. Ora più che mai è importante ricordare che siamo noi a possedere gli oggetti, e non il contrario. Possiamo apportare innovazioni estreme alla tecnologia, ma come diceva François Rabelais “la scienza senza coscienza non è che la rovina dell’anima”. Ed è proprio la coscienza che non va perduta, perché è quella che determina l’Uomo.

Elisabetta Spanò

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