Rosso relativo – Tiziano Vecellio4 min

di L'Obbiettivo

“Il tuo è un rosso relativo/ senza macchia d'amore ma adesso / canterà dentro di te / per la gran solitudine e / forza amati per questa sera / che domani torni in te”, cantava Tiziano Ferro nel lontano 2002. Invece, nel Cinquecento, Tiziano Vecellio il rosso relativo lo dipingeva.
Nessuno ha ben capito quando sia nato Tiziano, ma l’Arte pare averlo preso a cuore sin dalla sua nascita o giù di lì, perché è un grande disegnatore già da molto piccolo. Dall’entroterra veneto (dov’è influenzato dal vento precisino delle terre asciutte) si trasferisce a Venezia con il padre, il quale vede che è proprio bravo bravo e lo manda a studiare da Gentile e Bellini.
C’è da fare una precisazione sulla Venezia di quel periodo. Negli altri centri culturali, ad esempio a Firenze, il valore di un’opera si basava sulla bravura dell’artista nel rispettare i canoni prospettici e proporzionali, sull’esprimere messaggi con delicatezza e dolcezza e sull’imitazione dei grandi antichi. A Venezia, invece, cambia totalmente la concezione della critica d’arte, grazie alla presenza di Ludovico Dolce e del cenacolo letterario e culturale di Pietro Aretino.
In particolare, Dolce smonterà le tecniche di Bellini, ma paragonerà il suo allievo Tiziano, insieme a un altro artista veneto chiamato Giorgione, a Raffaello. Qual è la grande differenza tra maestro e allievo?
Tiziano collabora con Giorgione per un certo periodo. Insieme mettono a punto quella che verrà chiamata “pittura tonale”, scrivendo un vero e proprio linguaggio dei colori. Scoprono le sfumature dell’Arte e le trasferiscono sulle tele. Giorgione arriva addirittura, ad un certo punto, ad eliminare il disegno. La luce smette di essere neutra, è influenzata dal colore dominante. In poche parole, il bianco vicino al rosso non è del tutto bianco. La tridimensionalità è dettata da cambiamenti di colore, con Tiziano si trovano dei fili narrativi raccontati proprio dai richiami cromatici tra gli elementi dei dipinti.
Chissà come ha reagito, la Bella Signora, nel vedersi ritratta anche in questa sfaccettatura. Avrà tirato un sospiro di sollievo, forse? Sicuramente sarà rimasta sorpresa di fronte alla Pala Pesaro del nostro simpatico amico. La Pala Pesaro è una delle prime opere di Tiziano, una sacra conversazione conservata nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Una sacra conversazione è un’opera sacra, appunto, che raffigura la Madonna, alcuni santi e i committenti del dipinto. Il supporto, in questo caso, è una tela di forma centinata (con base rettangolare e la sommità ad arco). Viene commissionata da Jacopo Pesaro per la vittoria di Venezia nella Battaglia di Santa Maura contro i Turchi. Raffigura, da una prospettiva laterale innovativa, la Vergine che tiene in braccio Gesù Bambino, seduta su un seggio. Subito sotto di lei, nel primo scalino del podio del suo trono, ci sono i santi Pietro, Francesco e Antonio da Padova. San Francesco guarda il Bambino con dolcezza, Sant’Antonio ha lo sguardo puntato in basso e San Pietro ha le chiavi del Paradiso ai piedi. Al gradino ancora più in basso troviamo i committenti dell’opera: un cavaliere tiene alta la bandiera di Alessandro VI mentre scaccia un turco accanto a Jacopo Pesaro (a destra), e i suoi fratelli (a sinistra) pregano inginocchiati. La struttura piramidale dell’opera è data anche ai collegamenti tra i colori: l’azzurro del mantello di Maria e del vestito di San Pietro è il colore araldico dei Pesaro, e la veste rossa della Madonna richiama sia il vessillo sia il mantello prezioso e dettagliato di Francesco Pesaro. Già dai suoi primi lavori s’intende, quindi, che Tiziano ha letteralmente dato colore al suo ambiente artistico.
L’Arte s’impossessa piano piano del coloratissimo uomo, che nasconde nelle pitture variopinte simbolismi e doppi significati. Nella sua opera più famosa, chiamata oggi “L’amor sacro e l’amor profano” (io preferisco il suo nome più antico, “beltà disornata e beltà adorna”, perché nonostante quattro lezioni di storia dell’arte e ore sui libri io ancora sono confusa tra chi sia l’amor sacro e chi sia l’amor profano), Tiziano contrappone due parti differenti di una stessa donna (che, secondo me, doveva essere bellissima): quella a destra ha un manto rosso sacro, ed è nuda, mentre quella a sinistra è vestita di bianco, da sposa. Quella a destra dell’osservatore regge il fuoco dell’amore e ha alle spalle uno splendido tramonto che riprende il suo mantello, con i colori della passione, mentre lo sfondo della figura a sinistra è una foresta scura, con alle spalle alcuni edifici. Tra le due donne c’è Cupido, che mescola l’acqua, simbolo della vita, in un sarcofago, simbolo della morte. Attorno a loro, coppie di animali saltellano tranquilli nell’erba, simboli di fecondità e prosperità. Oltre al volto, è il colore degli abiti delle donne che ci portano a pensare che rappresentino due facce della stessa medaglia. Trova le coppie: bianco con bianco (il velo che copre i genitali della donna a destra con il vestito di quella a sinistra) e rosso con rosso (il guanto della sposa con il mantello di quella a sinistra). Tutto torna. Tutto è in relazione ad altro. Questo quadro è così equilibrato grazie alla composizione classica e gentile ma soprattutto ai colori delicati e cristallini. Una melodia, insomma, una poesia in una lingua tutta nuova. Quello che d’altronde cercano Dolce e l’Aretino: vada per gli antichi, ma cerchiamo qualcosa di nuovo.
L’Arte si aggrappa con forza a Tiziano (che ha la faccia stanca in tutti i ritratti che gli faranno), e lo porta, verso la fine dei suoi giorni, a sperimentare.
Si lancia in tecniche nuove: comincia a pitturare con le dita, ad utilizzare colori sempre più scuri, a tentare pennellate sempre più ampie… è diventato pittore ufficiale della Serenissima, e aveva subito fatti turbolenti e lutti vari. È debole, e l’Arte, che è stata usata come cavia da laboratorio per anni, inizia a sperimentare su di lui. E, probabilmente, al genio del colore piace molto.
Muore nel 1576, tra un esperimento e l’altro.

“Il tuo è un rosso relativo/ senza macchia d'amore ma adesso / canterà dentro di te / per la gran solitudine e / forza amati per questa sera / che domani torni in te”

Elisabetta Spanò

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