Basta un libro2 min

di Luca Matteo Rodinò

Occorre operare una distinzione tra cultura, conoscenza, istruzione e scuola. La cultura è un bagaglio di conoscenze assimilate e apprese nel corso della vita, solitamente studiando. La cultura è, per l’appunto, propria di un uomo colto, che ha studiato e dedicato tempo allo studio e ha acquisito conoscenze. Quest’ultime sono invece i tasselli che compongono la cultura di una persona: chi conosce, non è detto che sia una persona di cultura; chi ostenta cultura non è detto che abbia conoscenze, quantomeno quelle dovute. Alla luce di ciò sembra doveroso premettere di non ritenersi mai uomini di cultura, poichè alla conoscenza non c’è limite.

L’istruzione, invece, consiste nelle procedure e metodologie di insegnamento che, accompagnate e supportate dallo studio, possono fornire (a chi abbia voglia di apprendere) una serie di conoscenze. La scuola è solitamente il luogo in cui ciò avviene.

Nel corso di secoli e millenni, nell’ambito formativo, sono cambiate molte cose e le conoscenze potenzialmente accessibili sono cresciute in maniera esponenziale. Ciò che è rimasto intatto è il metodo della lezione frontale.

Non ne discutiamo la validità perchè, effettivamente, è indiscutibile, ma proviamo ad identificare il contesto in cui si trova inserito, ovvero quello scolastico odierno.

L’impostazione aziendale del modello scolastico consente, difatti, una più efficace amministrazione ma si ritrova ad inficiare la tranquillità dell’insegnamento. I metodi di valutazione, e le valutazioni stesse, in quello che è diventato sostanzialmente un sistema di scadenze, sono divenuti il fulcro di rotazione della vita scolastica a cui si accompagnano funzionalmente le lezioni.

Inevitabilmente, la qualità di queste è condizionata dai tempi, gli stessi all’incirca, per ottenere un risultato, perdonate la licenza, scadente. La qualità di una lezione è subordinata alla quantità di cose da fare e alle verifiche da svolgere. Non si fa lezione per istruire ma per presentare dei voti e rispettare la scadenza di turno.

Questa realtà è triste perchè raggiunge dei risultati opposti a quelli prefissati, a quelli che una scuola dovrebbe mantenere; in poche parole è una realtà fallimentare. Se volessimo filosofare potremmo ipotizzare una scuola libera da verifiche, diventando un po’ utopisti. Ignoriamo i nostri pensieri critici e la nostra coscienza che ci dice che è irrealizzabile e che non avrebbe senso un’idea come questa: concentriamoci su ciò che si potrebbe ottenere. Lezioni tranquille, approfondite e interessanti. Perchè la verità è che una lezione disamorata e fine a se stessa e al completamento del programma, annoia.

Inoltre, nella nostra “Scuola del Sole”, troveremmo solo persone realmente interessate e ispirate; chi non ha interesse, non frequenta, alunno o docente che sia.

Ci ritroviamo invece una scuola che minimizza, perchè di questo di tratta: minimizzare le conoscenze rendendole nozioni, essenziali, minime, ristrette, al fine di superare la verifica di turno. Ci chiediamo provocatoriamente: questa è cultura? Lo è davvero? La cultura (o meglio, la conoscenza) accompagna verso la libertà perché libera dai paraocchi dell’ignoranza e dal male che questa potrebbe generare. Ma nei termini appena descritti è davvero libertà di pensiero? O è solo un’insieme di informazioni funzionali? La didattica strumentale priva di spirito critico perde efficacia, drasticamente.

Ovviamente non si voleva fare di tutta l’erba un fascio. Ma forse, se le cose stanno davvero così, non sarebbe più utile (e bello) aprire un libro e leggere per conto proprio?

Siamo di nuovo provocatori.

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