Gli atti mancati, cosa sono e come li spiega la psicologia1 min

di L'Obbiettivo

Quante volte ci dimentichiamo di fare qualcosa?
Quanto spesso la nostra sbadataggine ci porta a confonderci?
Prima sono le chiavi dell’auto, poi corriamo a fare la spesa, dopo ci sono gli allenamenti, lo studio, i fazzoletti in borsa che non si trovano e gli appuntamenti?
Quell’amica che non vedevi da tempo, il colloquio di lavoro…
Tutto deve essere in sincronia, ma non è detto!
Frequentemente rischiamo di scordare ciò che dobbiamo fare talmente sono tante le cose che dovremmo svolgere, eppure, anche per questo, la psicologia ha un termine preciso per denominare questa particolare condizione.
Freud, difatti, affermava che dimenticare qualcosa non è totalmente casuale e la sua teoria è stata ripresa, dopo qualche tempo, da un altro importante psicanalista, Pascal Zentz.
“La sindrome dell’atto mancato” non coinvolge avvenimenti banali come lasciare le chiavi dell’auto in casa e scendere di corsa le scale, solitamente, non viene neanche davvero avvertita da chi ne soffre.
Il paziente, in modo schematico, prende degli impegni e, nel momento in cui c’è l’effettivo bisogno di rispettarli, concretizza in modo apparente e ordinaria la loro disfatta.
Se c’è un volo da prendere, allora ecco che confonde gli orari.
Se abbiamo una scadenza nell’ambito lavorativo, ebbene, il progetto sarà pronto soltanto il giorno dopo.
Dietro un atto mancato, però, è giusto ricordare che vi si celi qualcosa di più importante e angosciante.
E’ la proiezione di una nostra preoccupazione o titubanza, qualcosa che blocca il nostro inconscio ed esplode all’esterno sotto mentite spoglie, tutto quello che non vogliamo affrontare e che cerchiamo di evitare quando siamo costretti a farlo.

Ecco, se qualche volta siete stati vittima di questo strano tranello mentale, non abbiate paura e siate in grado di riconoscerlo, è meno grave e più comune di quello che pensiate!

Jole Lorenti

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