La post-verità e il suo principio primo2 min

di L'Obbiettivo

Nella borsa di J questa settimana si sono scontrati articoli di giornali su politica, società, qualche volta anche moda, il tutto, poi, è stato ben contornato dalle flash news presenti sul cellulare e diffuse grazie all’ausilio dei social. Da qui, è partito un circolo assai vizioso di documentazione, nella quale mi sono cimentata con impegno, che mi ha portata alla scoperta di una nuova parola con un significato fuori dall’ordinario. Avete mai sentito parlare della “post-verità”?

Concepita per la prima volta dagli studiosi dell’Oxford Dictionaries ed eletta come parola dell’anno nel 2016, alla stregua delle elezioni negli Stati Uniti d’America e con l’ascesa al potere di Donald Trump, è strettamente correlata con tutte quelle notizie che riceviamo in tempo reale da un momento all’altro sul nostro telefono, indipendentemente dal posto nel quale ci troviamo. Potremmo essere in Brasile, Africa, Inghilterra, Italia oppure Russia, c’è solo una variabile: il modo che abbiamo di reagire ad una novità, vera o falsa che essa sia.

La post-truth, nella sua lingua originale, pone come primo fondamento il fatto che la veridicità di un argomento sia o meno reale, dando maggiore attenzione sulla percezione, sull’impressione e sulla sensazione che esercita e suscita sul lettore, a prescindere o meno dalla personale e propria conoscenza degli avvenimenti accaduti e, presumibilmente, citati. Gli eventi effettivi ricoprono un posto di minore rilevanza rispetto al contesto psichico-emotivo suscitato a chi si trova dall’altra parte dello schermo.

Questo termine entra a far parte integrante principalmente del panorama politico e attraverso esso, nella sua concezione più moderna, si manifesta il pensiero su una cultura caratterizzata da dibattiti in gran parte contraddistinti dal riscontro emotivo, scollegato dai tratti principali della politica in discussione. In questo caso, più che di ambito socio-culturale, si prende come punto di riferimento il mondo linguistico. È da sempre risaputo che, tra avversari di diversi partiti, ci si addossi fake news e storie che prendono spunto anche dal leggendario pur di progredire e far carriera, ma ciò che discosta il fenomeno moderno rispetto a quello dapprima sviluppatosi, ha a che fare sicuramente con il mondo dell’internet.

I fondamentali fulcri e pilastri delle notizie che viaggiano ogni secondo alla velocità della luce sono: la generalità dell’informazione trasmessa, la capillarità e la diffusione che essa detiene e la globalità alla quale si affida. A questo punto, come facilmente intuibile dall’articolo stesso, si può facilmente notare come, sopra il resto, vi è la questione dell’andare oltre la verità alla quale quotidianamente e ciecamente affidiamo. Post, per l’appunto, come il fattore secondario nel quale, la credibilità di una successione di fatti immessi secondo un filo conduttore e psicologico non ha relativamente credito o modo di dover esistere oppure essere esplicato.

Madre generatrice di questo evento è, senza dubbio, la rivoluzione dell’era digitale e non importa se i concetti di “verità” e “realtà” sia effettivamente uniti, essi devono poter trovare un riscontro per poter, in linea di massima, esistere. Al tutto, possiamo mescolarci facilmente e ben presto la vero-somiglianza di tutto ciò che noi leggiamo. In tal caso, è semplice poter affermare che la verità è un effetto dell’esito finale di una serie di passaggi discorsivi che mirano a essa, cioè a suscitare nel pubblico una dose di credulità. A questo punto sta a noi scegliere a cosa dare importanza: alla verità dei post nei post o alla percezione che quest’ultimi lasciano e tramandando?

Forse, saperlo, non è ancora così scontato come poteva sembrare fino a poco tempo fa.

Jole Lorenti

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