Il mondo tra razzismo e xenofobia… e poi c’è la Norvegia3 min

di L'Obbiettivo

Cari miei piccoli amici viaggiatori immersi nella Borsa di J, oggi mi sa tanto che ce ne andiamo in un posto molto lontano, ben distante dalla nostra realtà, soprattutto da una come la mia di un piccolo paese in una penisola mica tanto grande come l’Italia. Riusciremo mai ad arrivare in Norvegia? Immagino che non sia poi così impossibile. Perché proprio un paese scandinavo? Perché in mezzo al freddo?

Beh, perché in questo regno così lontano e diverso dal nostro, il freddo è solo un aspetto climatico, se in tal modo si vuol dire, e poco ha a che fare con le persone. Basti pensare che, quando negli alberi vi sono molte mele in più di quelle effettivamente necessarie per il commercio o per le famiglie, i proprietari le raccolgono e le mettono in delle buste di plastica trasparente al di fuori delle proprie abitazioni, cosicché chi è di passaggio ed è, magari, bisognoso ed in difficoltà, possa usufruirne.

È un po’ come un servizio di altruismo gratuito, di generosità incommensurabile, nonostante possa sembrare qualcosa di poco valore. Però, permettetemi, c’è da dirlo, è proprio di queste piccole cose che dovremmo cibarci. Sembra di essere tornati a metà dell’Ottocento dove xenofobia, razzismo e nazionalismo erano un “must”, un ritorno alla definizione delle razze anche laddove esse non esistono, formalmente concetto debellato dall’UNESCO attraverso la Dichiarazione sulla razza ove viene ultimato il pensiero di netta uguaglianza a livello fisico e psicologico tra ogni uomo a partire dal suo DNA, manca poco che ci si torni a scriverci su interi saggi e, dopodiché, che il mondo dichiari completa la sua opera. Andiamo più a fondo, giusto per chiarirci meglio le idee.

Il termine razzismo, dal latino ratio e ismo, categorizzazione, in una chiave di lettura psicologica assume le sfaccettature di un profondo rifiuto verso ciò che differisce da noi, in questo frangente, soprattutto per l’etnia. La xenofobia, invece, dal greco xenos e phobos, è un’avversione generale nei confronti dello straniero per motivi socio-culturali, religiosi o politici.

Per entrambe vale un unico processo psicologico, difatti Freud afferma che esiste un tipo di angoscia “nevrotica” che non nasce da un rischio percepito realmente dalla persona, non è giustificata da un evento scaturito dal contesto esterno, ma dalla percezione di un pericolo interno, una percezione intrinseca e inconscia che spesso cerca una via per esprimersi al di fuori. In pratica l’Io, pur di non affrontare qualcosa di sé che provocherebbe un’ansia ingestibile, sposta il pericolo su un oggetto esterno con lo scopo di evitare che “pensieri e sentimenti inaccettabili giungano alla consapevolezza cosciente”.

Il diverso va, quindi, evitato, allontanato ed ignorato sulla mera base di pregiudizi e preconcetti, generando un clima teso e, a tratti, persecutorio. Ci si predispone alla violenza piuttosto che all’affetto, all’indifferenza e all’insofferenza.

Importante è dire che l’identità di un gruppo si definisce grazie alla possibilità di poterla individuare tramite la presenza del “diverso”: solo attraverso la relazione con l’altro, con lo straniero, l’identità si definisce e acquista unità e la convivenza non si dimostra facile, poiché obbliga a mettersi completamente in discussione. Ciascun individuo, pertanto, immette nel gruppo e affida a quest’ultimo, un’ansia non contenuta attorno all’estraneo. Il gruppo svolge per i suoi membri una funzione terapeutica di contenitore psicologico, nel quale li libera dalle paure individuali.

In definitiva, il gruppo permette ad ogni soggetto di affrontare l’ansia causata dall’oggetto fobico, non paralizzandosi, non fuggendo, ma attaccando. Il risultato è l’accrescimento della stima di sé attraverso le azioni del gruppo. Ricollegandoci ai nostri giorni, è ovvio e sotto gli occhi di tutti che il clima d’intolleranza nel quale viviamo influenza il nostro distacco dagli altri. Siamo come tanti piccoli mondi solitari che interagiscono solo se necessario, corteggiati continuamente da fake e flash news.

L’unica cosa che mi sento di dire, alla conclusione di questo articolo, è di riconoscere la nostra maturità di popolo che ci deve condurre ad affrontare i nostri conflitti più profondi senza maschera. Ognuno nel proprio microcosmo ha un grande potere di cambiamento sociale, un po’ come la Norvegia, per l’appunto, dove le persone donano le mele che avanzano, un piccolo “regalo” che contiene in sé un grande gesto.

Educhiamoci all’amore, tutti, ne abbiamo bisogno.

Jole Lorenti

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