Antigone in Calabria1 min

di L'Obbiettivo

Come sappiamo in una società democratica vigono regole, leggi dettate dalla comunità. Sappiamo bene che “democrazia” non vuol dire soltanto essere partecipanti dello Stato, ma racchiude in sé la superiorità di una maggioranza su una minoranza, ciò non sottintende che quella maggioranza debba possedere oggettivamente una verità e una giustizia esentata da errori e scelte moralmente scorrette. Non soltanto nella Tebe antica, ma anche in Calabria è presente l’Antigone sofoclea. Recentemente, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano è stato posto ai domiciliari, attraverso accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, concussione, illeciti legati allo smaltimento dei rifiuti, accuse di là e di qua. Anche Lucano, come Antigone ricalca il peso delle leggi, quelle non scritte. Ricordiamo che la protagonista sofoclea voleva che il fratello Polinice venisse sepolto, giungendo in collisione con le leggi di Creonte. Antigone sa che facendo in tal modo andrà verso la morte, lei accetta, perché convinta delle sue ragioni. Si discute nello stesso modo in cui si parlava nell’antica Grecia, ossia di leggi “non scritte”, che chiariscono principi etici sentiti come imprescindibili dall’essere umano. Dall’altra parte vigono leggi “scritte”, dettate dal potere politico. Il dilemma tragico ed attuale ruota attorno a questo: Antigone (Mimmo Lucano) e Creonte (la procura-lo Stato) possiedono ambedue torto e ambedue ragione. È giusto sottolineare come sia Antigone che Lucano non mettono in discussione l’autorità dello Stato. Non sono anarchici, rifiutano di rispettare regole che a proprio giudizio di fondamento etico non hanno neanche l’ombra. A distanza di duemilacinquecento anni, Antigone è ancora fra noi, manifestandosi in atti concreti per una società più sana e meno costrittiva.

Tuttavia, in un paese, dove le pene vengono ridotte a pagamenti dilazionati in secoli, forse dovremmo chiederci cosa sia giusto e cosa non sia moralmente giusto. Forse, Lucano se ritenuto colpevole potrebbe anche lui far richiesta di essere trattato al pari della Lega, vale a dire, scontare la propria pena un po’ alla volta, qualche minuto al giorno in carcere, da qui sino a settantasei anni.

Antonio Panetta

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