Il cuore ha una sua memoria – quanto la vita ti restituisce il bagliore dell’amore3 min

di L'Obbiettivo

Nella borsa qualche giorno fa c’ho trovato il telefono, anche se le mie mani stavano, in realtà, cercando il giornale che mi accompagna in questo viaggio. E lì ho visto qualcosa di così emozionante da dover essere condiviso, per questo comincerò così.

Se vi dicessero che tutto quello che state vivendo, un giorno, venisse dimenticato? Come reagireste? Se i vostri ricordi, mano a mano, si sgretolassero senza che voi possiate riafferrarli e rimetterli nei tasselli che formano il vostro passato, in modo del tutto involontario e, certamente, contorto: cosa fareste? C’è una malattia che può portare a tutto questo ed ha un nome chiaro e definito, il morbo di Alzheimer. Essa è, così come la conosciamo oggi, è una malattia degenerativa del sistema cognitivo che attacca la memoria.

Scoperta per la prima volta nel 1901 dallo psichiatra Alois Alzheimer, dal quale prende il nome, si svolge per fasi e non ha ancora una causa ben conosciuta. Tutto ciò che si sa è che, nel suo progressivo avanzare, porta ad uno stato di inconsapevolezza e confusione tale da riuscire a riportare alla mente poche immagini fino a giungere alla dimenticanza totale. Ne sto parlando perché, poco più di una settimana fa, il 21 settembre, Giornata mondiale dedicata alla sensibilizzazione per questa malattia, è comparso su internet il video di una nonna con sua nipote che riesce a riconoscerla per pochi secondi e a dirle due semplici parole che racchiudono l’affetto creato in un’intera esistenza: “Ti amo”.

E allora mi sono chiesta se ci si possa mai dimenticare, accantonare e scordare, ciò che abbiamo tessuto negli anni, i legami che si sono intrecciati come dita di una mano e che hanno lasciato una carezza sulla scia della nostra anima. Ci sono amori che ci accompagnano fino a quando non ci spegniamo e forse quello più vero e sincero che avremo modo di incontrare nei nostri cammini sarà proprio quello delle persone che ci crescono come due genitori e, se possibile, provano a darci il doppio dell’affetto.

Quando per pochi istanti gli occhi della giovane ragazza hanno incontrato quelli dell’anziana nonna, nel momento esatto in cui hanno trovato di nuovo la forza di illuminarsi e la voce si è fatta flebile e tremula per dire le più temute, ma anche gioiose parole che tutti aspettiamo di sentirci dire prima o poi, non è importato più quanto ci si fosse dimenticati poiché la mente in quel processo di riconoscimento si è unita al cuore, che ha una propria memoria, per ciò che credo, ed ha sprigionato la più potente delle emozioni. Se dovessi spiegare, in qualsiasi altro modo, quello che è il sentimento più puro del mondo, penso fermamente che non ci riuscirei. È tutto racchiuso in quel breve dialogo: “Ti amo”, “ti amo anch’io tantissimo, nonna”.

Forse non ci si scorda mai dell’attenzione che per molto tempo abbiamo riservato a chi ci stava accanto. Forse è anche vero che noi siamo la nostra stessa memoria e che conteniamo dentro di noi un museo di esperienze, di passioni, di vicende che ci hanno portato ad essere chi oggi guardiamo allo specchio. Tutto può essere plausibile, ma l’unica verità che davvero mi ha sfiorata nel guardare quei minuscoli attimi assemblati insieme dinanzi all’obbiettivo di una videocamera, è che nessuno di coloro che ci stanno affianco potrà mai dimenticare il bene che abbiamo donato. L’amore non si dimentica, non si accantona e non passa inosservato, neanche quando pensiamo che accada il contrario. Non importa quanto deteriorato possa essere il nostro cassettino che costudisce momenti come se fossero tesori perché, a volte, basta tornare a guardarsi negli occhi per riconoscersi.

“La memoria umana è veramente qualcosa di strano. Sfioro un braccio e trovo la voce di un’altra persona. Tocco dei volti e i loro occhi si allontanano. Scopro un cielo azzurro e tutte le forme intorno si nascondono. Attraverso un ponte e non c’è nessun fiume sotto. Come sono inafferrabili taluni ricordi nel loro essere appesi a niente, forme in continuo movimento che restituiscono il niente in un niente più grande.”

Jole Lorenti

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