Diario di viaggio: il racconto dei grandi burattinai italiani (che tutti conosciamo) a Sorrivoli17 min

di L'Obbiettivo

Sorrivoli

Castello di Sorrivoli

Sorrivoli è un piccolo centro abitato, frazione di Roncofreddo, che s’innalza tra le colline romagnole, in provincia di Cesena. Minuscolo, discreto, quasi invisibile, Sorrivoli passerebbe inosservato se non fosse per il suo castello antichissimo, abbarbicato sulla collina, che con le sue grandi mura fa ombra a tutte le casette sottostanti, al contenuto e fornitissimo alimentari, all’ostello e alla piccola piazzetta dove si radunano gli abitanti della contrada. La fortezza, nonostante l’età, è ancora piena di vita, grazie alle attività organizzate da Don Pasquale Gentili, che si prende cura di Sorrivoli, e dalla cooperativa “Terra dei Miti”, che gestisce la trattoria messa in piedi al suo interno. Tra un evento e l’altro, grazie alle feste e alle serate musicali, il Castello è diventato un punto di incontro per chi si interessa di cultura, ama stare in compagnia di un buon bicchiere di Sangiovese e di belle persone e vuole godersi il panorama delle colline tutt’intorno. Insomma, Sorrivoli è un luogo tranquillo, ed è tanto piccolo da sembrare improbabile l’idea che, per otto giorni l’anno, possa ospitare persone da tutto il mondo. Infatti, proprio questo minuscolo paesello, è la sede, ogni estate, della Festa dei Grandi Burattinai.

La Festa dei Grandi Burattinai

Ma cosa sarà mai questa Festa dei Grandi Burattinai?

Durante l’ultima settimana completa di agosto, burattinai e marionettisti d’ogni varietà si danno appuntamento a Sorrivoli. Sera dopo sera, ogni artista si mette in gioco proponendo uno dei suoi spettacoli. Gli spettatori, dopo aver cenato con piadina romagnola, cappelletti e specialità della trattoria, assistono alle peripezie dei personaggi che diventano protagonisti di storie di avventura, commedie classiche, drammi commuoventi e racconti romantici. Il programma prevede due spettacoli a serata: il primo, all’esterno, è dedicato ai più piccoli, mentre il secondo, nel “cantinone” (i sotterranei del castello), tratta temi impegnativi. Quest’anno si sono aggiunte “le storie della buonanotte”, delle pause musicali tra una rappresentazione e l’altra per i piccini assonnati, curate da Valentina Vecchio e Serena Cercignano. Alla fine, però, i burattini sono per tutti, e ci sono spettatori di tutte le età sia in prima che in seconda serata. La seconda domenica, per concludere in bellezza, è segnata dallo spettacolo finale scaturito dall’ormai tradizionale laboratorio dei bambini che si svolge tutte le mattine, dove i più piccoli imparano a costruire maschere, pupazzi, a giocolare, a recitare e, soprattutto, a divertirsi buttandosi in nuove esperienze. Oltre a questo, ci sono anche alcuni corsi per adulti; dalle prime edizioni del festival, infatti, Natale Panaro tiene il suo laboratorio di scultura lignea dove da un ceppo di legno nascono teste di burattini. Per chi aveva paura di perdere qualche dito fra scalpello e seghetto, c’è stato, quest’anno, il laboratorio di lettura ad alta voce di Ferruccio Filipazzi: se pensate di saper leggere, cari lettori, sappiate che avete ancora tanto da imparare.

La festa è longeva, e abbiamo chiesto ad alcuni dei suoi padri fondatori e ad altri artisti la ricetta per rendere un sogno lungo otto giorni possibile, ogni anno per trentun anni. Ma partiamo dalle radici.

Cominciò tutto dalla festa della parrocchia, tanti anni fa. Don Pasquale Gentili, parroco di Sorrivoli e Carpineta e custode del castello, aveva voglia di trovare un senso alla celebrazione annuale che si tiene ogni estate nel piccolo centro abitato. A Sorrivoli, nello stesso periodo, anche Gianfranco Zavalloni, un maestro d’asilo, cercava attività interessanti e divertenti per i suoi bambini. Don Pasquale e Zavalloni decisero di fondere le loro due necessità e di organizzare insieme la festa. Per puro caso, proprio nei dintorni del castello, si aggirava un burattinaio, che, d’accordo con i due, diede vita al primo laboratorio per i bambini. “Da lì la festa della parrocchia è diventata una festa in cui i protagonisti sono i bambini”, ci racconta Don Pasquale, impegnato, in un piccolo intervallo in mezzo alle tante faccende. L’unione fa la forza, e così è sbocciata l’idea. L’anno dopo, però, il burattinaio, solo di passaggio, era andato via. Don Pasquale, allora, chiamò in suo soccorso Mino Savadori e Tinin Mantegazza. Per la seconda volta la cooperazione ha avuto la meglio sull’emergenza, Mino e Tinin hanno raccolto i loro amici burattinai e hanno messo in piedi, per la seconda volta, la Festa. Con gli stessi principi, ma con tanti artisti diversi, dura ormai da parecchio tempo: una Festa, e non un festival, dove c’è confronto, crescita, e non ci sono concorsi o primi posti.

La voce di chi non ha voce

Ma quanto sono importanti i burattini? Da dove nascono? Chi li ha inventati? Sono davvero solo per bambini, come si pensa seguendo la più becera delle mentalità comuni?

La storia dei burattini e delle marionette dura da secoli e a raccontarcela, in parte, è stato il burattinaio e ricercatore francese Albert Bagno, che ci ha seguiti passo dopo passo e ci ha raccontato quanto sono stati importanti i burattini durante le rivoluzioni, le ribellioni e di quanto sono stati coraggiosi tutti i burattinai che hanno avuto la forza di opporsi a monarchi, governi e politiche che disprezzavano.

“I burattini”, ha detto Albert, quasi sussurrando, “sono la voce di chi non ha voce”. Come esempio ci ha portato quello di un burattinaio bergamasco, che, nel 1859 urla in una piazza, da dietro il suo teatrino, “viva l’Italia!”. Viene condannato a morte, per aver portato avanti i suoi ideali da dietro un pupazzo, di fronte a un pubblico. Ma basterebbe parlare anche solo di Albert, che, nel 1979, porta al festival di Charleville-Mézières, al nord della Francia, uno spettacolo sulla vita operaia, che parla di tutte le difficoltà dei lavoratori nelle fabbriche da Torino a Milano, come se Torino e Milano fossero un’unica metropoli. Anche Marco Campedelli, burattinaio e amico di vecchia data di Sorrivoli, ci ha parlato dei guaratellari, dei burattinai napoletani che, perseguitati dagli sbirri, spesso dovevano “fare baracca e burattini” e scappare per non essere arrestati. I guaratellari napoletani erano così ben preparati alla fuga che lasciavano un’uscita d’emergenza anche dal lato frontale del teatrino. Se infatti venivano attaccati alle spalle, al posto di portare tutta la baracca e tutti i burattini e di correre con essi, cercavano di salvarsi la pelle sacrificando i loro strumenti di lavoro. Questo viavai succedeva perché, ai copioni originali, venivano aggiunti i pettegolezzi raccolti nelle taverne, la satira politica, il pensiero del popolo spesso ignorato. Il burattino, in sostanza, non è solo un pupazzo, ma un’arma pericolosa.

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