Locride: intercettato dalle forze dell’ordine il business dei canili2 min

di L'Obbiettivo

Questa volta ad essere oggetto di un losco sistema di affari sono i cani randagi. Ebbene, proprio i nostri amici a quattro a zampe, reduci da abbandono e maltrattamenti, fungono da valido espediente per i malaffari della ‘ndrangheta calabrese.

Si tratta di un vero e proprio business per i clan che da anni operano nel settore mettendo in piedi i propri canili rifugio, così riservandosi il ruolo di grandi mattatori di appalti e convenzioni. Il tutto grazie all’agevolazione da parte di amministrazioni comunali disposte a rinunciare alla diretta gestione dei canili municipali, così da consentire l’appalto esterno di ricoveri per il mantenimento di cani randagi.

A scoprirlo è la procura antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, che all’esito di un’indagine della Squadra mobile ha chiesto e ottenuto l’arresto dei titolari del canile “Il Parco” di Taurianova, ritenuti vicini al clan Viola-Zagari-Fazzari, e di Luigi Bartolo, proprietario di un rifugio nel crotonese, oltre che dei responsabili Asp e dei sedicenti animalisti resisi complici dell’infido sistema.

Alle prima luci di stamane, gli uomini della squadra mobile hanno fatto scattare le manette per Antonio e Francesco Fava, poiché considerati vicini alla famiglia Viola-Zagari-Fazzari, titolari dell’impresa Happy dog e del canile “Il Parco”, insieme a Domenico Marando, nipote del boss di Platì, Domenico Papalia.

Mentre finiscono ai domiciliari: il direttore del servizio veterinario dell’Asp di Reggio Calabria, Antonino Ammendola; il dirigente del medesimo settore a Locri, Vincenzo Brizzi; la rappresentante nella Piana di Gioia Tauro dell’associazione Animalisti italiani, Maria Antonia Catania, e il titolare del canile “Mister dog” di Melissa, nel crotonese, Luigi Bartolo. È stato predisposto l’obbligo di dimora per Antonio Ferraro, mentre non potranno allontanarsi dal Comune di residenza e si dovranno presentare quotidianamente alla polizia giudiziaria Edoardo Faiello, Loredana Cogliandro ed Eduardo Perri. I rifugi della ‘ndrangheta – hanno scoperto i magistrati – avrebbero dovuto aggiudicarsi gli ingenti appalti per il mantenimento e l’assistenza degli animali.

A pagarne le conseguenze è stato il titolare di un canile della Locride, fin dal 2014 oggetto di vessazioni, danneggiamenti ed estorsioni, per essersi aggiudicato la vittoria di una gara dal valore di 284mila euro destinati alla cura degli animali abbandonati, competizione da cui la Happy dog era stata estromessa poiché soggetta all’interdittiva antimafia. Ma non per questo i fratelli Fava si sono dati per vinti, azzardando col tentativo di aggirare lo sbarramento imposto dalla prefettura alle aziende interdette per mezzo di prestanome e spostando la sede della società che gestisce il canile.

Ma gli illegittimi imprenditori di cui sopra non erano, certo, gli unici desiderosi di mettere le mani sugli appetibili appalti per la gestione dei randagi recuperati. Anche i clan di Sant’Ilario dello Jonio, nel crotonese, erano interessati al business. Gli stessi, di fatti, con l’ausilio di Domenico Marando e delle famiglie di Platì da lui rappresentate, hanno minacciato e vessato il proprietario di un canile della Locride.

All’uomo, che non ha tardato a sporgere denuncia per i tentativi di estorsione subiti, era stato chiesto di versare 58mila euro ai clan di Sant’Ilario, altre somme di denaro a Marando, oltre che un terreno confinante con quello del nipote del boss, non a caso incendiato nel momento in cui la vittima ha deciso di non cedere alle intimidazioni dei clan.

Sono state sequestrate ben tre imprese: la “Happy Dog s.rl.”, il “Rifugio Canino il Parco s.r.l.” e la “Mister Dog s.r.l.”, per troppo tempo assecondate da falsi animalisti e da Comuni collusi.

Nadia Barillaro

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