Il regresso della conosc(i)enza2 min

di L'Obbiettivo

L’altro giorno preso da una noia mortale causata dai fumi della goniometria post compito di matematica mi sono sorpreso a pensare di filosofia e ad elaborare una personalissima ed originalissima definizione di “sostanza”. Peccato si trattasse di una teoria che Kant, a mia insaputa, duecento anni prima di me aveva già avuto modo di formulare. “È proprio vero che è già stato inventato tutto” ho pensato, per poi scoprire di essere stato preceduto da qualcuno anche nell’elaborazione di quest’ultima considerazione: Aristotele, filosofo greco, nel IV secolo avanti Cristo si permetteva il lusso di affermare che tutto quello che c’era da inventare l’uomo di allora l’aveva inventato. Osservazione coraggiosa che merita di essere commentata, a duemila anni di distanza. Sarebbe facile criticare seccamente la frivolezza di questa citazione, magari facendo riferimento agli straordinari avanzamenti tecnologici di cui l’uomo si è arricchito dal IV secolo ad oggi: il computer, gli aerei, l’iPhone X, i biscotti senza olio di palma. Ma cerchiamo di vedere la questione da un punto di vista un po’ meno scontato. Oggi si è soliti pensare che l’uomo moderno rispetto ai propri antenati abbia un grado di conoscenza molto più elevato, ma è davvero così? Occorre anzitutto fare una precisazione: anni di evoluzione ci hanno insegnato che l’attendibilità di una qualsiasi scoperta che in una certa epoca è data per certa può crollare da un momento all’altro e fare posto ad una nuova rivelazione che soppianta la prima. Per questo motivo, sarebbe sbagliato effettuare un confronto tra le scoperte di oggi, che sono frutto di un colossale avanzamento tecnologico, e quelle dell’epoca, senza contestualizzarle al momento storico in cui sono state fatte. Piuttosto, cerchiamo di comparare quello che noi pensiamo di conoscere oggi con quello che i nostri antenati pensavano di conoscere all’epoca, sforzandoci di non fare caso a quanto assurde e impensabili possano risultare alcune loro credenze. Per fare un esempio, noi oggi pensiamo che il vapore acqueo che costituisce le nuvole quando si condensa ricade sulla terra sotto forma di pioggia, ma in effetti non sappiamo perché un giorno piove e l’altro c’è il sole. Ebbene, questo problema nel medioevo non se lo ponevano proprio. Tutti sapevano che sopra il cielo c’era un enorme cupola con alcune finestre contenente tanta acqua: quando Dio decideva di aprire le finestre, allora arrivava la pioggia. E ancora, qual è la causa dei terremoti? Noi oggi pensiamo si tratti di fenomeni di natura tettonica del tutto imprevedibili. Beh, sempre nel medioevo tutti sapevano che si trattava di castighi divini e la loro prevedibilità stava proprio nella ripetitività e nella frequenza con cui gli uomini commettevano atti sacrileghi. A questo punto appare chiaro come la tecnologia odierna sia il discrimine che paradossalmente finisce per diventare un dosso artificiale allo sviluppo di nozioni (più o meno valide) di cui si compone il sapere dell’uomo in ogni epoca. Al contrario, l’ignoranza e la mancanza di tecnologie all’avanguardia hanno finito per rendere più acculturato che mai l’antenato dell’uomo moderno. Il fatto che gran parte del sapere degli antichi si basasse sui miti o su semplice osservazioni empiriche e quindi non basate sul rigore scientifico è assolutamente poco rilevante, poiché sempre di conoscenza si tratta. In ragione di tutto questo, penso (stupidamente) che alla fin fine Aristotele avesse ragione: nel quarto secolo a.C era già stato inventato tutto. D’altronde, la verità è figlia del suo tempo, e la televisione altro non è che una prolunga della vista, il telefono una prolunga dell’udito, le auto una prolunga delle gambe, ma l’uomo, con le sue domande esistenziali e la sua innata curiosità per le cose della natura, quello era e quello è rimasto.

Giuseppe Galluzzo

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