Meriti e demeriti della meritocrazia2 min

di L'Obbiettivo

La meritocrazia è uno di quei principi che prendiamo per buoni senza neanche pensarci, un po’ come la libertà o la pace nel mondo. Forse perché è un concetto tipicamente contrapposto a quello della raccomandazione, che in generale è quella cosa che distorce le procedure di valutazione e di selezione nell’ambito di concorsi od offerte lavorative, sulla base di clientelismi o nepotismi non meglio definiti. Noi tutti condividiamo il pensiero che ad andare avanti debba essere il migliore e non il figlio di papà, ed è normale che sia così, poiché è su questo principio che (probabilmente) si basa il nostro Paese e al quale siamo stati sin da piccoli educati. Ma se non esiste alcun dubbio sul fatto che il sistema meritocratico sia un buon sistema di valutazione, lasciatemi almeno essere critico sul fatto che questo costituisca il miglior sistema attuabile. Quando parliamo di meritocrazia automaticamente tiriamo in ballo tutto un discorso sulle competenze e sulle idoneità specifiche di una certa mansione che il singolo deve possedere: capacità che devono essere giudicate secondo criteri oggettivi che escludano ogni brandello di relativismo e quindi di arbitrarietà. Ma caratteristiche come intelligenza e sforzo, anch’esse intrinseche al giudizio meritocratico, sono veramente qualità misurabili con accuratezza e soprattutto in maniera oggettiva? Forse proprio questo quesito racchiude una prima debolezza del criterio meritocratico, che spesso, a sua volta, mantiene intatti proprio quegli elementi di parzialità delle scelte che sarebbe vocato a rimuovere, in contrapposizione all’opposto principio della raccomandazione. E ancora, la meritocrazia si propone come scopo primario l’abbattimento di ogni discriminazione sociale e non solo: ogni cittadino, indipendentemente dalla sua estrazione sociale, in teoria può ambire ad ogni genere di occupazione se possiede le suddette competenze necessarie. Il problema è che prima di emergere il cittadino più umile deve arrivare al conseguimento di tali competenze, e non sempre ha i mezzi per farlo. E non venitemi a dire che a tutelarlo esiste il terzo articolo della Costituzione, poiché sappiamo bene che i principi che questa contiene non costituiscono certezze, bensì ideali e speranze che molto spesso trovano difficoltà di attuazione nella realtà. In altri termini: non serve riempirsi la bocca di belle parole e richiami ad alti concetti di uguaglianza e di libertà, se in buona parte del Paese l’offerta di istruzione continua ad essere estremamente bassa rispetto alle performances degli atenei più formativi e se, nonostante tutto, permangono intatti gli ostacoli al raggiungimento di una sostanziale equità. Altro problema che può rappresentare una minaccia non da poco che reca seco il modello meritocratico è rappresentato dalle qualità e dai requisiti che questo non contempla, che dipendono strettamente dal concetto stesso di meritocrazia. Quest’ultimo oggi è certamente inteso come essere meritevoli nell’accumulare denaro, nell’essere visibili e famosi, nel saper edificare aziende e fare business, nel rendere come delle macchine per migliorare il sistema produttivo. È facile però capire che tutte queste qualità prescindono da fattori di altrettanta importanza che riguardano il lato umano del lavoratore, come può essere la capacità di amare, di tollerare, di essere d’aiuto agli altri: questo sistema tende ad elevare persone che non possiedono tali caratteristiche e spesso si traduce in un criterio meccanico che se concorre a rendere il cittadino un lavoratore meritevole, dimentica di valorizzare gli elementi propri dell’essere umano in quanto tale. Per concludere, se vogliamo alimentare ogni possibile dubbio sulla validità del principio meritocratico, ci basti guardare lo stato in cui versano gli uffici pubblici quasi sempre costituiti di personale nominato o, nella migliore delle ipotesi, scelto per raccomandazione, per non parlare della classe politica legittimata in virtù di leggi elettorali che hanno tolto ogni possibilità di scelta ai cittadini.

Giuseppe Galluzzo

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