Diario di viaggio: il racconto dei grandi burattinai italiani (che tutti conosciamo) a Sorrivoli17 min

di L'Obbiettivo

Poetica e Politica

“Per me le due cifre fondamentali del teatro sono le due P: poetica e politica”, ha risposto Marco Campedelli, quando gli abbiamo chiesto di parlarci del mestiere del burattinaio. E che vuol dire? “La poetica è l’arte della grande visione del mondo. La parola viene dal verbo greco che significa fare, per cui non parliamo di astrazione, bensì, citando un poeta, di fare il mondo dopo la devastazione del mercante. La politica, invece, è l’arte della polis, del bene comune. E il teatro dei burattini dalla sua nascita, secondo me, mette insieme questi due aspetti.”

Politica e Poetica, Poetica e Politica. Nel teatro dei burattini bisogna mandare un messaggio. Si può mandare un messaggio politico attraverso la poetica, perché la poesia ha il potere di sospendere il giudizio. Spesso, quando si parla di politica, si parla di messaggi martellati a livello ideologico, nozioni e slogan dall’alto che ci entrano poco in testa e nell’anima, e con le quali non riusciamo a comprendere davvero ciò che ci viene inculcato di forza. Con la poesia, invece, non ci sentiamo giudicati, ma assorbiamo il messaggio perché ci tocca nelle viscere, ci prende dal lato umano, dalla pancia e non dalle orecchie. Il burattinaio è traduttore delle questioni politiche, e le mette a portata di tutti. “Come faceva Gesù con il metodo parabolico”, ci spiega Marco, “partiva un processo di immedesimazione nei personaggi, che avevano tutte le caratteristiche dei soggetti chiamati in causa, e quando si tiravano le somme della storia nessuno si sentiva giudicato, ma tutti avevano imparato qualcosa.”

Teatro dei burattini o parabola, il compito della storia è quello.

E a qualcuno arriva il messaggio. Ce l’ha raccontato Albert Bagno.

Capisci di aver lasciato qualcosa quando un giovane uomo ti blocca in aeroporto e ti abbraccia commosso perché da piccolo ha guardato un tuo spettacolo e si ricorda di te. A qualche burattinaio sarà successo, ad Albert è capitato. “Quel ragazzo, tra tutte le schifezze e le cose brutte della sua vita, si ricordava la mia faccia. Tutto questo cavolo di mestiere ha senso se si dà speranza. Se lo fai, se capisci che ce l’hai fatta anche solo per una persona, hai fatto un lavoro di servizio. E questa è la cosa più bella che si possa fare.”

Albert, da ricercatore (ha innumerevoli ricerche aperte, altre sotto settori aperti, per un totale di circa 30.000 documenti a casa), sa bene che essere un burattinaio non vuol dire semplicemente fare versi da dietro un telo, ma che c’è bisogno di un “perché”, di un messaggio, di un dardo da scoccare. Ha iniziato la sua carriera burattinesca grosso modo grazie a sua moglie, che l’ha convinto a tentare di far diventare la sua passione un vero e proprio mestiere. E un giorno, a Charleville- Mézières, una donnina polacca di nome Olenka, professoressa di etnologia e antropologia, gli dà la spinta per iniziare le sue ricerche. L’ha guardato e ha detto: “Albert, fai attenzione, i burattini non sono solo nel mondo dello spettacolo. Se vuoi saperne di più, ti aspetto a Parigi alla biblioteca di antropologia, ho da mostrarti qualcosa”. Albert ha capito che doveva sapere, ha telefonato alla moglie e le ha comunicato: “Ascolta, un giorno, prima o poi, tornerò a casa”. “Molto rassicurante per una giovane sposa”, ha commentato Bagno, sorridendo, mentre ce lo raccontava. Grazie a Olenka ha scoperto il mondo dietro il burattino, e le profonde radici nella cultura dei vari popoli. Ha studiato anche i giganti votivi calabresi, e ha scoperto perché in passato per una società contadina come la nostra era importante animare degli enormi pupazzi. È una continua scoperta, la ricerca costante di nuove tecniche e nuove peculiarità. Animare i burattini, infatti, è un’arte che cambia a seconda della regione o dello Stato in cui ci troviamo. E questo è un indizio per farci capire che i burattini (siano essi pupi siciliani, giganti votivi o marionette), effettivamente, sono importanti per il complesso meccanismo sociologico che li rende vivi.

Olenka diceva che i burattini non appartengono solo al mondo dello spettacolo, e questo Sorrivoli lo sa bene. Per questo, durante la Festa, il castello ha ospitato volentieri Annick Montulet-Brinon, una psicologa belga specializzata in marionettoterapia. Mentre si festeggiavano le prime edizioni dell’evento romagnolo, non era comune l’uso della marionetta e del burattino nel mondo della psicologia e della pedagogia. Annick è stata una donna e una ricercatrice rivoluzionaria, che ha gettato le basi del settore. Come si può essere aiutati da un burattino? “La marionetta, per me, è stato uno degli strumenti più potenti per la ricostruzione dell’anima”, ci ha detto Albert. Perché? “Quando ad esempio sei perseguitato, sei profugo in un campo o sei su una nave pericolante, il burattino può servirti per riagganciarti alla fede, per aiutarti a ricordare che qualcosa funziona, ti dice che tutta la miseria del mondo che ti è caduta sul naso non ti impedirà di andare avanti. Si chiama anche resilienza. Possiamo dire che ti sprona ad avere fiducia nel passo dell’altro”. Con il burattino si convince l’interlocutore a riprendersi, ad andare avanti, a ripartire da capo, e questo, spesso, ricostruisce la persona. Ci sono decine di aspetti delle marionette e dei burattini legati al benessere dell’anima, e ad una Festa così particolare non si poteva non parlarne. Un altro amico del castello è stato Don Giovanni Catti, insegnante di pedagogia al Magistero, che, come ci ha raccontato Natale Panaro, era un punto di riferimento per chi si occupava di scuola e di bambini. Da sempre, insomma, a Sorrivoli non si parla solo di tecnica e manualità, ma di tutte le sfaccettature della realtà artistica protagonista.

Impara l’arte e mettila da parte

“Impara l’arte e mettila da parte”. E chi ti dice che l’arte si fa imbrigliare da te e che puoi tenertela in tasca in caso di bisogno? L’arte è una creatura libera e fugace, ed è difficile riuscire a domarla. La Festa dei Grandi Burattinai, però, ha la fortuna di essere uno degli habitat preferiti dall’arte, e ogni anno vengono formati nuovi scultori, attori e burattinai. Questo avviene grazie alla presenza dei laboratori per adulti che hanno luogo al castello e nelle sue vicinanze. In passato ci sono stati corsi diretti da professionisti di vari rami del teatro dei burattini, come Damiano Giambelli del Teatro del Corvo che ha insegnato a costruire mascheroni in cartone, Albert Bagno con i personaggi in carta e tanti altri ancora. Un laboratorio tradizionale, che è iniziato con la seconda edizione della Festa, è quello di Natale Panaro, che insegna a scolpire le teste dei burattini in legno. Tra scalpelli, seghetti, trucioli e testoline dure, ci ha raccontato com’è nato il suo laboratorio e che cosa insegna.

“La mia carriera è iniziata a sei anni e mezzo”, ha cominciato Natale, mentre metteva a posto i suoi strumenti, “e anche un po’ prima, quando con mio fratello Michele costruivamo macchine e trenini di carta”. Da sempre appassionato del mondo del disegno e dell’artigianato, Natale ha lavorato come professore di lettere nei licei. Parallelamente si dedicava alla scultura, e ha fatto anche parte della squadra della Rancati, che è una delle più rinomate attrezzerie teatrali d’Italia. Inizialmente non si dedicava alla costruzione sistematica di marionette, pupazzi e teste, ma un giorno, un burattinaio, gli commissionò tre burattini di legno e due maschere. Così Natale è entrato nel magico mondo dei burattini. Ha conosciuto, ad un certo punto, il Teatro del Buratto, diretto da Tinin e Velia Mantegazza. I due avevano appena inaugurato la scuola per burattinai e di animazione Yoric. Natale, attratto dal bando, si presentò a Tinin. Non poteva frequentare i corsi per mancanza di tempo, ma Tinin gli propose di insegnare a scolpire legno e gomma piuma. Così iniziò la collaborazione che ha portato Natale a Sorrivoli. “Tinin mi chiese di gestire dei laboratori qui, dato che lavoravo con lui. Non mi ricordo neanche che cosa costruimmo la prima volta, ma chiesi a Don Pasquale, un po’ inconsciamente, con un po’ di arroganza, ma mettendo a disposizione il mio tempo, di poter tornare a fare il mio laboratorio ad ogni edizione”. E Natale è ancora qua, tutti gli anni. Uno dei più appassionati frequentatori del corso di Natale è stato Gianfranco Zavalloni. “Ce l’ho avuto come assistente quasi fisso, per i primi periodi. È stato direttore didattico ed era appassionato di tutto, ha introdotto tutte le attività del fare nella scuola. Non solo burattini, ma tanto altro.”

E per chi è troppo imbranato per le sgorbie? C’è Ferruccio.

A leggere si impara a scuola. Ma distinguiamo il leggere per se stessi e il leggere per il pubblico. Non possiamo guardare una parola scritta nell’alfabeto che conosciamo senza che il nostro cervello la legga, eppure, se dobbiamo leggere un discorso di fronte agli altri, annaspiamo come se stessimo per affogare in un mare di vergogna. Ci manca la voce, tremiamo, balbettiamo, sospiriamo e arriviamo ad acuti improbabili sulle parole più difficili.

Per leggere ad alta voce servono polmoni allenati, sicurezza, conoscenza del testo, e tante altre cose che probabilmente non sappiamo perché non abbiamo mai avuto modo di partecipare un corso di lettura a voce alta, come quello che gestisce Ferruccio Filipazzi durante la Festa, illuminato dal gentile sole di Villa Dionora, a pochi chilometri di distanza dal castello.

Frequentato da insegnanti, esuberanti ragazze e artisti vari, il corso di Ferruccio insegna a vivere le storie e a raccontarle, leggendole e condividendole efficacemente.

Ferruccio è un attore e un musicista, non un burattinaio. “I burattinai sono matti anche perché sono chiusi da soli dietro una baracca”, ha riso, non troppo ironicamente, “non vedono quello che c’è fuori, parlano attraverso un burattino ed escono solo a volte. Hanno paura che tutti vadano via, e hanno quest’ansia di riempire sempre, e parlano veloce, seguono il ritmo, per paura che gli spettatori scappino.” E invece, come in qualsiasi cosa, le pause servono, e anche i burattinai devono imparare ad utilizzare correttamente la voce. Andiamo a vedere cos’altro serve per essere un discreto professionista.

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